Portatori di silenzio, di Stefano Raimondi (Mimesis, 2013)
Chi sono, per il poeta e critico letterario milanese Stefano Raimondi (tra i fondatori dell’ Accademia del Silenzio), i “portatori di silenzio”? I poeti, i filosofi, gli artisti, gli emotivi, gli scalfibili, gli ultimi, i vinti, i malati? Coloro che non fanno chiasso, che non si impongono, che non urtano imperiosamente gli spazi altrui: forse… Certo chi sa “concentrarsi maggiormente sull’eleganza e la grazia del proprio portarsi nella vita e nel proprio irrefutabile passare nel mondo della vita”; chi è “in grado di abitare per silenzio il mondo ammutolito e afasico dei rumori, della celaniana ‘chiacchiera comune’ che violenta, stupra e offende chiunque, mediante i suoi carichi di disattenzione, indifferenza coatta e berciante”. Nei tre brevi interventi che compongono questo libriccino, sospesi tra meditazione filosofica e poesia, prosa lirica e illuminazione, Raimondi affronta teoricamente senso e significato del silenzio, inteso come “luogo di rivelazione”, forma concreta di attesa, attenzione, possibilità epifanica. “Al silenzio si arriva per atteggiamento e propensione dunque! Si giunge concedendogli spazio e dignità: afferrandolo quasi per commozione!”. Modo di essere, modo di porsi tra gli altri e per gli altri: “è la postura di un pensiero, è la deambulazione di un’insistenza incastonata nel proprio stile di vita… da qui, da questo punto di coincidenza di sé con sé, si riparte per iniziare altro, per diventare Altri”. E forse silenzio per eccellenza è quello offerto dalla parola poetica, a cui “non si addice lo spreco e neppure la superficialità dell’uso”: il bianco “dicente” e silente dei versi appuntiti e contratti di Celan, di Ungaretti: “bianco… assoluto, rarefatto. Quel bianco della decifrazione, dell’ermeticità, del fraintendimento”. Nel suo ultimo saggio, Raimondi suggerisce poeticamente di imparare il silenzio, coltivandolo “come si coltiva un orto”, disponendosi ad ascoltarlo, finché diventi “orizzonte, realtà, deserto, oceano, isola e meta”.
Alida Airaghi