Anghiari visitata dalle parole del silenzio

Poche parole si sono salvate e riaffiorano dal mare, si avvicinano alla costa, cercano approdi per  ripartire in cerca di nuove epifanie.

Dall’Atlante del “Matrimonio del cielo con la terra”, il poeta Flavio Ermini  suggerisce-suggestive-sequenze e polisemici attraversamenti.

La luce getta i suoi mutevoli dadi
e il paesaggio cambia. Noi stessi
andiamo trasformandoci nello
straniero che siamo.

Scaturisce dalle nostre mani la
terra dove, prese molto tenaci
vincolano il corpo dell’uomo al
corpo oscuro dell’esistenza.
È necessario guardare altrove
e cercare nel nostro destino
alle radici dell’essere, dove tutte
le creature sembrano invitare
chiunque le interroghi
all’abbandono del superfluo.

Scendere a capofitto in una parte
intatta di noi è come guardare
sul palmo della propria mano
e leggervi il destino dell’intera
umanità.

La terra che circoscrive i passi
all’interno della terra di confine
è un serbatoio dove le creature
apparentemente rifiutate
possono tornare a darsi
un’identità.


Uno spazio fatto scendere
dall’azzurrità diventa una
terraferma dov’è possibile
illudersi di vivere.


Idalium è la prima terra che ci è stata assegnata e si estende quasi interamente dietro di noi.
Davanti una linea la delimita. Lì, precisamente dove si eleva un santuario dedicato ad Afrodite, s’interrompe il moto apparente del sole.

La luce non si annuncia. Scatta
improvvisamente e dura un
tempo brevissimo. Si apre
un varco attraverso cui irrompe
la caducità.

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“Il matrimonio del cielo con la terra”
materiali per un atlante
Flavio Ermini

edito da “I Portfolio di  Tracce cahiers d’art”
le fotografie di Anghiari sono di Patrizia Garofalo