50 taccuini, monografici, di piccolo formato, di facile lettura per avvicinare alla comprensione di questa insolita lingua di cui ogni autore si fa portavoce di una specifica disciplina. Ognuno autore del proprio silenzio.
Di Giulia Fars
Nel decennale dalla prima pubblicazione della collana Taccuini del silenzio, nata nel 2012, pubblicata da Mimesis e oggi arrivata al suo 50esimo libro, l’Accademia del Silenzio approda in Iulm per promuovere ‘un viaggio interdisciplinare che esplora le applicazioni del silenzio nell’arte, nella psicoanalisi, nella filosofia, nella musica, nel marketing e nella pubblicità’, così come annunciato nella locandina dell’evento. Non è un caso, dunque, che l’invito, rivolto all’intera cittadinanza e ai più giovani, trovi la propria dimora presso la Libera Università di Lingue e Comunicazione, che, peraltro, da quattro anni ha introdotto tra le sue discipline un corso, fortemente voluto dal Rettore Gianni Canova e sostenuto dal Prorettore Valentina Garavaglia, di Silenzio e Comunicazione, tenuto proprio da uno dei fondatori dell’Accademia, Nicoletta Polla-Mattiot. L’iniziativa ‘Do you speak silenzio?’, promossa dai docenti Stefano Lombardi Vallauri e Paolo Giovannetti del dipartimento di Arte e Media, diventa l’occasione per ‘Leggere tra le righe, comunicare oltre le parole’.
- È PIU’ IMPORTANTE QUEL CHE SI DICE O QUEL CHE SI TACE?
Alla base l’idea che il silenzio possa essere una disciplina trasversale, multidisciplinare che unisca competenze diverse tra loro e che presupponga una didattica del silenzio intenso come spazio relazionale e come una vera e propria esigenza sociale ed educativa. Un potente e profondo strumento di comunicazione, dunque, che arricchisce il linguaggio, e ne diventa una parte integrante in continua trasformazione. Ed è proprio nella prima parte di questo incontro che a dialogo convergono lo scrittore del primo taccuino, il professore Duccio Demetrio con “I sensi del silenzio – Quando la scrittura si fa dimora”, e il professore Antonio Prete, autore del cinquantesimo, ma non ultimo, taccuino “Del silenzio”.
«Il nostro è stato, ormai più di dieci anni fa, un vero laboratorio di pensiero, di ricerca di domande, una modalità legata al bisogno di problematizzare l’argomento sul del tema silenzio […]
Lo scopo è volto a mettere in luce un aspetto che non dobbiamo mai dimenticare: noi comunichiamo silenzio, ma siamo anche, in fondo, comunicati dal silenzio. Il silenzio ci dice qualcosa di noi, ci dice chi siamo, che cosa cerchiamo, che cosa ci interessa, è un oggetto che merita attenzione rispetto a ciò che ci sfugge, alla comprensione di un silenzio che amiamo oppure di un silenzio che odiamo. Noi siamo chiamati dal silenzio a raccontare la vita e la nostra in particolare.» esordisce Duccio Demetrio rimarcando quanto il silenzio sia un linguaggio estremamente personale, una dimora, una cura, una lingua che lega, che parla di diversità di suoni, di una sensorialità rinnovata che si accende in noi parlandoci dei momenti della nostra vita nei quali si è taciuto: la scrittura della propria esistenza per aprire il silenzio dentro il proprio Sé.
- PUO’ IL SILENZIO ESSERE UNA FORMA DI COMUNICAZIONE?
Quella che si viene a creare è una dimensione plurale del silenzio, una dimensione dialettica dove il silenzio è sempre in dialogo con la parola, con la consapevolezza del saper dire e altresì del tacere. Un silenzio che risiede dentro se stesso e al contempo dentro un’ampia moltitudine di linguaggi, nei paesaggi della natura, nella poesia, nel canto, nella scrittura, spiega Antonio Prete, rifacendosi a Baudelaire : «Tutte le arti si nutrono di silenzio presentandosi sottoforma di diverse modalità. Il silenzio è l’aldiquà della parola degli uomini, del visibile, del conosciuto, del dicibile». Un silenzio, continua il professor Prete, che si configura come altro dal rumore del mondo e dal totalmente percepibile, un silenzio che, nella sua limitatezza verso l’udibile, diventa al tempo stesso un terreno fecondo ed aperto ad infinite trasformazioni sensoriali e percettive, dove il tacere stesso viene oltrepassato. Conclude citando il poeta Edmond Jàbes: “Dio è, di Dio, il silenzio che tace.”
- QUALI FORME DI SILENZIO POSSONO AGGIUNGERE INTENSITA’, EFFICACIA, EMOZIONE, POTERE PERSUASIVO A QUELLO CHE DICIAMO?
Ad aprire seconda parte dell’incontro è invece Stefano Raimondi, poeta e critico letterario, con il suo taccuino “Portatori di silenzio”. Il primo a parlare, difatti, è proprio lui: il Silenzio. Raimondi si sistema, aggiusta il microfono, si assicura che funzioni, l’attenzione del pubblico è tutta sua, ma lui non emette alcun suono. La sala zittisce nell’attesa che torni la parola, ognuno dei presenti dimora nel proprio momento di silenzio – chi sorride, chi chiude gli occhi, chi si guarda intorno spaesato, chi si muove nervosamente sulla sedia. «Ognuno nella postura del suo silenzio» esordisce infine l’autore dopo 5 minuti silente attesa. Il silenzio non è altro che il retroscena della parola, spiega Raimondi riprendendo “Il mondo del silenzio” di Max Picard, un modo di affiancarsi al linguaggio nell’attesa stessa che questo accada. La parola riacquisisce il suo potere, testimone di un silenzio che appena pronunciato sparisce, di un silenzio che diventa un modo di stare, un atteggiamento di ascolto, uno spazio di accoglienza, un brevissimo istante che si affianca e conduce alla parola.
E se nella poesia pensare al silenzio significa conferirgli un nuovo spazio, allora non esisterà un pensiero che non abbia un’immagine, riflette prendendo la parola il professor Paolo Biscottini, esperto in Museologia e storico d’arte, nonché autore del taccuino “L’immagine diario del silenzio”. Parla lentamente, soppesa ogni parola, attende che ognuna di esse abbia il tempo di creare nella mente dell’ascoltatore una sua immagine, come immersi nel silenzio contemplativo di un museo. «Artista è solamente colui che sa dare una forma al silenzio che vi risiede interiormente, colui che sa dare luce, forma, colore, che sa costruire attraverso questo silenzio. È l’immagine che abita i nostri silenzi, le opere d’arte, i musei, l’essenza primaria dell’interiorità dell’artista e dell’arte stessa, al di là e dentro il limite.» Biscottini conclude poi ricordando un episodio che lo ha coinvolto da bambino e lo ha avvicinato al silenzio, rimarcando in un momento intimo di gratitudine quanto ognuno sia strettamente coinvolto nel proprio silenzio interiore, e come ogni singolo taccuino dell’Accademia, precisa Nicoletta Polla-Mattiot, si innesti nell’autobiografismo di ciascun autore.
È con Nicolò Terminio, psicoterapeuta e dottore di ricerca, che successivamente si apre una finestra sul silenzio e la psicanalisi. Autore del taccuino “Tradurre dal silenzio – La psicanalisi come esperienza assoluta”, Terminio mette in evidenza come la dialettica tra silenzio e parola conduca ad una dimensione mentale differente, materna e primordiale, riprendendo Lacan, in grado di donare autenticità al nostro dire, al nostro stesso esperire, educandoci a dare posto al silenzio della propria vita. Un’esperienza assoluta dove il significante non è più riconducile ad un significato sconosciuto, ma che attraverso la dimensione intima del proprio silenzio permette di trovare le radici della nostra capacità di nominare la vita, tornando ad un ordine paterno, a quella condizione cioè di possibilità perché un soggetto diventi protagonista d’una propria esperienza. Tradurre dal silenzio significa dunque riuscire a costruire una trama da un eccesso di vita che non è facilmente rappresentabile dove infine parola e silenzio portino ad una vera e propria trasformazione interiore.
È infine con l’avvocato Niccolò Nisivoccia che si arriva a riflettere sulla declinazione politica del silenzio, inteso come relazione con l’Altro. Nel suo taccuino, in corso di pubblicazione, “Il silenzio del noi”, l’autore si concentra sulla dimensione plurale del silenzio, dove è la parola stessa ad avvicinare, a completare la relazione di silenzio con l’Altro; un silenzio condiviso, dunque, che dimora nella vita politica della “città dei molti” , della comunità, dove non può esistere un Io senza un Noi ; un silenzio, infine, che per essere ascoltato, e venire alla luce entro il caos della città ha necessariamente bisogno della relazione con l’Altro per essere ascoltato, inglobandolo e accogliendolo.
- ESISTE UNA MUSICA DEL SILENZIO?
Ad aprire e concludere la terza e ultima parte dell’incontro sono la musica e i silenzi delle mani di Emanuele Ferrari, pianista e ricercatore di musicologia e storia della musica, nonché autore del suo personale taccuino “Ascoltare il silenzio. Viaggio nel silenzio in musica”. La sala, carica di attesa, si riempie della magia di un silenzio condiviso accompagnato da un suono privo di parole, in cui a parlare è la musica di Schubert, Improvviso Op. Post. 142 n.3 in si bemolle maggiore. Un brano, cinque variazioni, che hanno un rapporto paradossale col silenzio, in cui non ci sono pause, interruzioni, o cessazioni del suono, eppure la sua è una musica che riesce a mantenere un rapporto carsico e intimo col silenzio, percepibile e al tempo stesso impercettibile. Il pubblico si lascia trasportare da questo silenzio che –spiega Ferrari – « […] agisce per sottrazione, rimarcando l’intensità dell’essenziale, dove ogni nota diventa super-eloquente, piena del proprio senso e che si riconcilia con il silenzio primordiale dell’esistenza».
Un ultimo ascolto.
Poi di nuovo Silenzio.